Da più di dieci anni l’associazione La Girobussola APS progetta e realizza esperienze di turismo accessibile per persone con disabilità visiva. Fin dall’inizio e ancora oggi, uno dei dubbi più frequenti delle persone vedenti è:
Perché una persona non vedente dovrebbe aver voglia di viaggiare?
Per quanto superficiale, la domanda non è incomprensibile se pensiamo alla centralità dell’immagine nel lessico legato al viaggio. Abbiamo il sightseeing, i mirador, i “punti panoramici” (dal greco, il significato letterale è “la visione del tutto”) e le “foto ricordo”. Addirittura il tedesco sostituisce la nostra generica “attrazione” (intesa come turistica) con una parola tanto complessa quanto eloquente: Sehenswürdigkeit, ovvero “[ciò che] vale la pena vedere”.
Negli ultimi decenni, diverse ramificazioni della cultura digitale hanno conferito ulteriore enfasi alla dimensione del visivo come testimonianza principale dell’esperienza, ancor di più se eccezionale rispetto alla quotidianità. Un esempio su tutti è ovviamente quello di Instagram che, nel caso del viaggio, funziona come una sorta di “telecartolina”. Come la vecchia cartolina, infatti, svolge il ruolo di pubblica testimonianza dell’aver viaggiato.
In questo senso il canale visivo può essere totalizzante e, se utilizzato con particolare enfasi, addirittura soverchiante: pensiamo infatti a tutti quei video promozionali, veri e propri trailer cinematografici di destinazioni ed esperienze, che sotto una colonna sonora più o meno insignificante e intercambiabile, “silenziano” i molteplici e complementari stimoli sensoriali del luogo che vorrebbero raccontare, ad esempio, il fragore di una cascata o il passaggio di uno stormo di uccelli migratori.
Cosa ci perdiamo se usiamo solo la vista
Cosa succederebbe alle nostre esplorazioni se le spogliassimo davvero di tutto ciò che non è visivo? Se considerassimo la vista il senso sovrano che conduce e determina ogni nostra esperienza? Un mercato alimentare, ricco di prelibatezze locali, non avrebbe più un profumo. Il mare sarebbe inquietantemente silenzioso e il nostro corpo non sentirebbe il vento fresco della sera durante una passeggiata nei vicoli. Ma, soprattutto, ridurremmo l’intero processo a una collezione di immagini, una serie di diapositive o – effettivamente – a una galleria di Instagram.
Naturalmente l’esperienza di viaggio è straordinariamente più complessa. Il viaggio è un luogo altro che si esplora con tutto il corpo. Il viaggio non è solo uno spazio inconsueto, ma è anche – e forse soprattutto – un processo temporale. Ci concediamo infatti un “tempo d’eccezione” rispetto ad una vita tendenzialmente regolare. Ed è uno spazio-tempo diversamente normato: un minuto, un’ora, un giorno danno luogo ad avvenimenti che possono tradursi in immagini, certo, ma anche superfici, incontri, temperature, chiacchiere, imprevisti, sapori. Possono essere cambi di meteo e cambi d’umore, connessioni impreviste e visite inattese.
La memoria usa tutti i sensi
Nei modi differenti e specifici che sono loro propri, il neuropsichiatra Oliver Sacks e lo scrittore Marcel Proust ci raccontano di come le nostre memorie più radicate e potenti spesso si formino legate a impressioni più ineffabili di un’immagine, come una melodia o un profumo: è così che persone anziane che hanno perso la capacità di verbalizzare riescono a cantare ancora una canzone dell’infanzia, o che un sapore perduto e ritrovato può risvegliarci dentro interi periodi della vita.
Possiamo quindi sottovalutare il portato di conoscenza e di emozione che nasce dall’affrontare queste sensazioni con consapevolezza? Già troppo spesso lo facciamo nel quotidiano, accantonato in un mondo che fa massicciamente affidamento sul visivo. Il viaggio può allora diventare un momento per liberare, praticare e valorizzare questi canali non solo sensoriali ma anche cognitivi, tanto più con la favorevole sfida di un contesto non familiare.
Da spettatori a partecipanti
Togliere la vista dall’equazione dell’esperienza – o almeno decentrarla – rimuove spesso anche il lusso di essere spettatori, invitando in qualche modo a farsi partecipanti. Apre la possibilità di intervenire su una realtà non più solo visitata ma vissuta; una realtà non vista che invece, idealmente, è stata prima ascoltata, conferendo quindi alle nostre azioni attenzione e rispetto. E in questa partecipazione il viaggio diventa trasformazione e confronto.
Progettare in termini di multisensorialità quindi non solo garantisce diritti inalienabili – come quello alla cultura – per chi ha bisogno di strumenti compensativi, ma elabora strategie di stratificazione emotiva e conoscitiva fondamentali per chiunque voglia crescere, emozionarsi, imparare durante un viaggio. Contrastando il monopolio della vista permettiamo di dare spazio ai veri contenitori di emozioni, che partecipano di altri sensi e sensazioni.
Progettare una proposta di turismo accessibile
Vuoi rendere la tua offerta più accessibile? Possiamo aiutarti a diventare guida o designer più consapevole, disinnescando i preconcetti e progettando un’esperienza che tiene conto di stimoli esperienziali diversi. Al termine del percorso vedrai come la domanda iniziale non solo perderà di senso, ma anzi ne acquisirà uno nuovo: perché una persona non vedente non dovrebbe avere voglia di viaggiare?