Overtourism: l’impatto del turismo di massa che aumenta le disuguaglianze

da | 12/07/24 | Formazione turistica

Un anno fa scrissi questo post su LinkedIn: “In Italia ci sono 400.000 alloggi (camere o appartamenti) messi in affitto su Airbnb. Ora pare che molte città si stiano accorgendo che questo sistema è drogato, che si sono sottratte case ai residenti e che i centri urbani si stanno spopolando dei loro abitanti. E se i centri si spopolano dei loro abitanti chi verranno a conoscere i turisti che prendono in affitto questi alloggi? I proprietari dei fondi immobiliari? Che senso ha un turismo fatto in questo modo?”

Quel post scatenò una discussione animata (sintomo che la questione era calda non solo per me) così decisi di approfondire il tema comprando il libro di Sarah Gainsforth “AirBnB città merce. Storie di resistenza alla gentrificazione digitale”.

In questo articolo parliamo di:

Cosa significa “gentrificazione”?

Citando Gainsforth: “Il termine gentrification può essere definito come la produzione dello spazio urbano per utenti progressivamente più ricchi. Semplificando possiamo dire che sebbene la gentrificazione porti un miglioramento estetico dei quartieri impoveriti, l’aumento dei prezzi e dei valori immobiliari provoca un ricambio di popolazione e attività con l’espulsione, diretta e indiretta, degli abitanti meno facoltosi.”

In Italia se ne è iniziato a parlare nel 2003, ma il termine ha cominciato a diffondersi più ampiamente in maniera direttamente proporzionale alla diffusione della piattaforma americana per affitti brevi AirBnB. Nel 2008 Airbnb era ai suoi albori e sembrava un’innovazione buona. Gli obiettivi dichiarati, infatti, erano:

  • da un lato, permettere ai proprietari/inquilini di una casa di avere un’entrata extra affittando una stanza o anche semplicemente il divano
  • dall’altro, consentire ai viaggiatori di entrare direttamente in contatto con le comunità locali, vivendo esperienze più immersive e autentiche.

Sedici anni dopo possiamo affermare che sulla retorica della “micro-imprenditorialità” e del “live like a local”, Airbnb ha costruito la propria immagine. Un’immagine basata su una presunta comunità inclusiva, nel concreto lontana dalla realtà.

Secondo un articolo uscito su Il Corriere, sono oltre 608.000 gli alloggi (camere o appartamenti) messi in affitto per i turisti su Airbnb in Italia nel 2023. La situazione è andata quindi, chiaramente, fuori controllo.  

Città fatte di turisti

Da un decennio a questa parte, infatti, si assiste a un nuovo fenomeno, che si somma al processo di gentrificazione già avvenuto: quello della turistificazione e della sostituzione di una popolazione residente con una temporanea.

Fenomeno vissuto sulla mia pelle sia nella città dove sono nata e cresciuta (Bologna), sia nel paese in cui sono andata a vivere (Soverato, cittadina turistica sulla costa ionica della Calabria).

Sono emigrata da Bologna a fine 2020. Era nato il mio bambino in pieno covid e dato che sia io che il mio compagno lavoriamo da casa, avendo intuito che la pandemia sarebbe durata ancora a lungo, decidemmo di spostare la nostra base a sud. Questo fu l’espediente, ma la ragione principale che ci spinse a fare questa scelta fu che la situazione abitativa della mia città era ormai diventata insostenibile. Trovare una casa in affitto per una famiglia era (ed è) un’impresa impossibile. 

Alla stessa cifra che pagavamo a Bologna per un bilocale anni ‘50, a Soverato trovammo un appartamento nuovo grande il triplo. Scambiando pure le sbarre alle finestre con una meravigliosa vista mare. Dico che anche qui abbiamo avuto fortuna perché, una volta insediata, mi sono resa conto che la situazione abitativa non era tanto migliore rispetto a là. La maggior parte dei proprietari, infatti, preferisce affittare solo durante il periodo estivo per poi lasciare le case (e il paese) vuoti per il resto dell’anno. Molto diffusi anche i casi di affitti da settembre a giugno, per poi dover lasciare tutto per fare spazio ai turisti che pagano di più. Conosco ragazze costrette a traslocare per l’estate altre che, invece, fanno il sacrificio di pagare l’affitto “estivo” pur di non doversene andare nel periodo caldo dell’anno.

L’alta stagione non prevede i residenti

Che conseguenze ha tutto questo? Nel caso di Soverato, ma credo potremmo allargare il discorso a tantissime altre località baleari, la mancata gestione della destinazione comporta una presa d’assalto da parte dei turisti soprattutto nel mese di luglio e agosto. Il territorio viene letteralmente “invaso” e io, come altri residenti, smettiamo di frequentare tanti luoghi abituali -anche naturali- perché la folla ne prende il controllo.

Mi chiedo come pensiamo di promuovere un turismo “sostenibile” se non esiste, nella maggior parte dei casi, la minima gestione delle destinazioni. Mi chiedo perché venga definita una “capacità di carico” per ogni luogo che dobbiamo frequentare (ai ristoranti viene affidato un certo numero di coperti, in auto non possiamo salire in 20, e via dicendo) tranne che per le località. 

Esiste una capacità di carico delle destinazioni?

Con capacità di carico si intende la capacità che le destinazioni hanno di accogliere le persone. Per misurarla si tiene conto dell’impatto ambientale, economico e sociale. Nella pratica la capacità di carico si misura attraverso il calcolo dei posti letto (censimento e regolarizzazione) ma anche mediante la misurazione della capacità della destinazione di smaltire i rifiuti e il traffico ecc.

Allargando lo sguardo sulle città europee ciò a cui stiamo assistendo, sempre più frequentemente, sono vere e proprie prese di posizione da parte delle amministrazioni locali contro l’overtourism che attanaglia le loro città. Alle isole Baleari, ad esempio, abbiamo Maiorca che da poco ha preso una decisione drastica contro l’overtourism: cancellerà 18.000 posti letto. 

La domanda però che dovremmo porci è: davvero l’unico modo per gestire i flussi turistici è arrivare a situazioni emergenziali come quelle citate sopra? Il problema è l’overtourism o la gestione approssimativa delle destinazioni?

Ci sono esempi di turismo sostenibile? 

Il turismo veramente sostenibile è quello che riesce a conciliare la qualità della vita dei cittadini “residenti”, con la qualità dell’esperienza dei cittadini “temporanei”, cioè i turisti. Impossibile? In Alto Adige forse no.

Ne parla sempre Gainsforth in un articolo su Slow News. In sintesi, alcune delle cose che hanno fatto:

  1. censimento dei posti letto, con l’obiettivo di fare emergere la reale disponibilità di alloggi per i turisti e poter anche stabilire un tetto massimo.
  2. creazione di un Osservatorio per il turismo sostenibile in Alto Adige, che svolge attività di monitoraggio, valutazione e divulgazione degli sviluppi del turismo in regione. Sulla base dei dati raccolti, ad esempio, è stata stilata una classifica dei comuni più turistici e, successivamente, i comuni sono stati classificati in tre categorie: a basso, medio e alto sviluppo turistico.

Personalmente credo che il problema della “sostenibilità” del turismo non possa essere inquadrato in una prospettiva meramente numerica e di qualità del turismo (che rischia di assumere connotati classisti). Il tutto va, piuttosto, inquadrato a monte in un sistema capitalistico basato sullo sfruttamento. Quindi, come spiega bene Gainsforth, se continuiamo a muoverci all’interno di un’economia di crescita insostenibile non cambierà nulla. Servirebbe, perciò, un ripensamento a monte di questa cornice per andare verso una nuova ecologia popolare. Il turismo in sé non è da demonizzare. Può essere, anzi, un importante strumento di sviluppo anche per territori a rischio abbandono. 

Il ruolo del turismo ispirazionale

Da anni porto avanti il concept di turismo ispirazionale, un modo di concepire il viaggio in armonia con persone, comunità e ambiente. Se le persone devono tornare ad essere davvero il focus di chi si occupa di turismo, è chiaro che alla base dobbiamo avere destinazioni che prima di ogni cosa tutelino il diritto all’abitare dei loro cittadini. Altrimenti il rischio è quello che stiamo già vivendo: persone che si muovono senza davvero incontrare l’altro. Città che si trasformano e perdono le loro peculiarità per piegarsi alle esigenze dei turisti.

Quello che propongo, anche attraverso il mio tour operator, sono Destinazioni Umane: persone che accolgono i viaggiatori facendosi portatori di storie, tradizioni e lingue locali. In questo modo anche i territori ne traggono beneficio grazie all’arrivo di nuove energie e punti di vista. Utopia? Su scala globale forse ancora sì, ma ogni viaggio inizia con un piccolo passo e in tanti oggi lo stanno già facendo in questa direzione.

Vuoi saperne di più sul turismo ispirazionale?

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